Dove l’invasione dei roditori è prevista… e benedetta

Se l’idea di vedere un topo vi fa saltare sulla sedia o urlare in modo non proprio dignitoso, forse il Tempio di Karni Mata non è la vostra prossima destinazione ideale. Ma aspettate a giudicare: perché in questo angolo del Rajasthan, i topi non solo non sono considerati parassiti, ma incarnano anime sacre. Letteralmente. E se vi capita di calpestarne uno per sbaglio? Beh, preparatevi a offrirne uno d’oro come risarcimento. No, non è uno scherzo.

Karni chi?

Karni Mata è una figura venerata come incarnazione della dea Durga. Vissuta, secondo la tradizione, tra il XIV e il XV secolo, era una mistica, una santa, e probabilmente anche una persona che non aveva paura di toccare un topo a mani nude. La leggenda racconta che, dopo la morte di un bambino della sua famiglia, Karni chiese a Yama (il dio della morte) di riportarlo in vita. Yama rifiutò (che cuore di pietra), ma Karni, non demoralizzata, decise che d’ora in poi i membri della sua stirpe non sarebbero mai più finiti negli inferi. Si sarebbero invece reincarnati… in topi.

E così nacque una delle credenze più bizzarre e affascinanti dell’India: nel Tempio di Karni Mata, i roditori non sono parassiti, ma reincarnazioni sacre, chiamati affettuosamente kabbas.

Topi ovunque. E sì, camminano anche sui tuoi piedi.

Situato a Deshnoke, a circa 30 km da Bikaner, il tempio è abitato da circa 25.000 topi sacri. Non fanno parte di un esperimento di laboratorio andato storto, ma vivono in piena libertà tra cortili, colonne, ciotole di latte e devoti inginocchiati. I pellegrini portano offerte, pregano… e condividono il cibo con i roditori. Sì, anche se ci hanno messo sopra le zampette prima.

Il clou dell’esperienza? Avvistare un topo bianco, considerato la manifestazione suprema della divinità. È raro come trovare parcheggio a Roma il sabato sera, ma chi riesce a scorgerne uno riceverebbe una benedizione speciale. O un attacco di panico, a seconda del livello di musofobia.

Religione, simbolismo e peli sul pavimento

Certo, l’idea di venerare dei topi può sembrare un tantino fuori scala, soprattutto a chi associa i roditori a scantinati umidi e trappole al formaggio. Ma come ogni culto, anche questo ha una sua logica interna, una simbologia ricca, e – incredibile ma vero – una precisa organizzazione igienico-rituale. I topi vengono nutriti, curati e protetti. E no, nessuno li scaccia: se mai, sono loro a decidere se sei degno della loro presenza.

E se vi state chiedendo come sia possibile che un luogo infestato da migliaia di topi non sia un focolaio per ogni tipo di malattia… la scienza ha qualche dubbio, ma i devoti sono convinti che proprio il carattere sacro dei topi li renda immuni (e immunizzanti). Eccola, la fede.

Ma quindi è solo una follia collettiva?

Beh, dipende dai punti di vista. In Occidente ci si inginocchia davanti a statue dorate, in India davanti a un topo che si mangia il riso nella ciotola comune. Il Tempio di Karni Mata non è solo un’esperienza spirituale, è un crash test culturale. Una prova di tolleranza, apertura mentale… e stomaco forte.

Al di là dell’ironia, è un esempio straordinario di come il sacro possa assumere forme profondamente diverse a seconda dei contesti. E anche di come l’uomo riesca a trovare sacralità e bellezza anche in ciò che normalmente rifugge. Tipo un roditore con i baffetti.


Un’esperienza da vivere (magari con scarpe chiuse)

Visitare Karni Mata è un’immersione in un altro mondo, dove il confine tra realtà e leggenda è sfocato, e dove la religione si fa anche spettacolo, tradizione e mistero. Un luogo che mette in discussione ogni nostra certezza su igiene, reincarnazione e animali domestici. Ma in fondo, non è proprio questo che dovrebbe fare il sacro? Disturbarci un po’? Aprirci un varco? E, perché no, farci camminare tra 25.000 motivi per rivedere la nostra idea di “divino”.

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In copertina: foto di Jean-Pierre Dalbéra (Wikipedia)