Nel cuore di ogni società che vuole definirsi libera c’è un esercizio costante, quotidiano e faticoso: quello della memoria. Quando si parla di mafia, questa fatica si fa ancora più urgente. Perché la mafia non è solo violenza, ma anche silenzio. Non è solo un fenomeno criminale, ma anche una mentalità che si insinua dove la cultura si spegne. Ecco perché, oggi più che mai, l’antimafia non può essere solo repressione o giustizia penale. Deve essere anche e soprattutto culturale.
Cosa significa fare antimafia culturale
L’antimafia culturale è l’impegno civile e collettivo per smontare le fondamenta simboliche, sociali e morali della mafia. Significa lavorare per diffondere conoscenza, spirito critico, consapevolezza. È un’azione che passa attraverso la scuola, il teatro, la letteratura, il giornalismo, i podcast, i social, le biblioteche di quartiere, le associazioni giovanili. È fatta di parole, storie, domande, dubbi, emozioni.
In altre parole, raccontare è già resistere.
Ogni volta che riportiamo alla luce una storia dimenticata, ogni volta che diamo un volto e una voce a chi ha lottato contro la mafia, contribuiamo a togliere spazio al potere dell’omertà. La mafia si nutre di invisibilità: far vedere, raccontare, spiegare è il primo passo per disinnescarla.
La memoria come atto presente
Parlare di memoria non significa chiudersi nel passato. Al contrario: significa coltivare un presente più lucido, in grado di imparare dagli errori e di riconoscere le dinamiche del potere criminale anche quando si travestono da normalità.
I giovani spesso si chiedono: “Cosa c’entro io con la mafia? È una cosa vecchia, da TG anni ‘90”. Ed è proprio qui che entra in gioco la cultura. Quando la mafia non spara, si nasconde. Cambia pelle, entra nell’economia, nella politica, nel linguaggio. In questo contesto, l’antimafia culturale è lo strumento che ci permette di decifrare la realtà, di collegare le stragi di ieri ai meccanismi di potere di oggi.
L’educazione alla legalità non basta più
Negli ultimi decenni si è parlato molto di “educazione alla legalità” nelle scuole. Ma non basta insegnare il rispetto delle regole: serve stimolare un’etica del dubbio, del pensiero critico, della partecipazione attiva. Parlare di mafia non è solo una questione giuridica: è una questione di libertà. E la libertà si difende prima di tutto con la conoscenza.
La vera sfida oggi è rendere la cultura accessibile, emozionante, coinvolgente. Non per semplificare, ma per far capire che l’antimafia riguarda tutti, anche chi non ha mai vissuto in territori “a rischio”. La mafia è un problema nazionale, e l’antimafia deve esserlo altrettanto.
Le storie che cambiano lo sguardo
C’è una forza enorme nel raccontare le vite di chi ha resistito: giornalisti come Giuseppe Fava, magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, attivisti come Peppino Impastato, testimoni come Rita Atria. Ma anche maestri, sindaci, sacerdoti, insegnanti, madri, studenti.
Ogni loro storia è un pezzo di verità, un esempio concreto che la lotta è possibile, anche a costo della solitudine o della paura. Riconoscere queste vite come parte della nostra storia collettiva ci restituisce strumenti per interpretare il presente, e motivi per non voltare la testa dall’altra parte.
Raccontare per non abituarsi
L’antimafia culturale non ha bisogno di eroi perfetti. Ha bisogno di persone che si pongano domande, che parlino nei bar, nei post su Instagram, nei podcast, nelle assemblee scolastiche. Ha bisogno di una società che non si abitui mai all’ingiustizia.
Raccontare non è un atto neutro: è una scelta di campo. È decidere da che parte stare. È dire che quelle morti non sono state vane. Che le idee camminano ancora. Che c’è un futuro da immaginare, e va fatto con passione e fermezza.
Ascolta il nostro podcast sulla lotta contro la mafia
Ascolta le storie di chi ha lottato contro la mafia con coraggio e dignità nel podcast “Con passione e fermezza“, realizzato dagli alunni dell’Istituto Comprensivo “Enrico Fermi” di Matera.
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