Viviamo in un mondo in cui le risposte sono a portata di tap. Se dobbiamo raggiungere un luogo sconosciuto, usiamo il GPS. Se dimentichiamo un compleanno, ce lo ricorda l’assistente vocale. Se ci serve un’informazione, la cerchiamo immediatamente su Google. La tecnologia, nata per liberarci dalla fatica, sta involontariamente causando un “Brain Drain”, un drenaggio cognitivo che sposta le nostre funzioni cerebrali fondamentali – memoria, orientamento, attenzione – dal cervello al dispositivo.

L’Effetto Google e l’illusione di sapere

Uno degli effetti più studiati di questa esternalizzazione è il cosiddetto “Effetto Google”: la tendenza a non immagazzinare più attivamente le informazioni, sapendo che saranno sempre disponibili online. Il nostro cervello non si preoccupa di ricordare cosa sa, ma piuttosto dove può trovare rapidamente quell’informazione.

Questo non è solo un problema di conoscenza nozionistica. Il processo di apprendimento e di navigazione logica è cruciale per il pensiero critico. Se un’Intelligenza Artificiale (IA) come ChatGPT risponde a ogni domanda, diminuisce la necessità di formulare la domanda, di cercare il percorso logico interno, un processo che, come sosteneva Socrate, è alla base della conoscenza. L’IA può elaborare e imitare, ma il desiderio e la coscienza semantica restano prerogative umane.

Il GPS e la perdita dell’orientamento spaziale

Un esempio tangibile di atrofia cognitiva si riscontra nella memoria spaziale. Sistemi di navigazione satellitare come il GPS e l’europeo Galileo sono infrastrutture critiche per la logistica e la vita quotidiana. Tuttavia, la loro ubiquità ha ridotto la nostra capacità di costruire mappe cognitive interne. Quando seguiamo un navigatore, smettiamo di osservare attivamente l’ambiente, di memorizzare punti di riferimento, di orientarci per istinto. Il percorso diventa un’esecuzione passiva di istruzioni.

Il cervello, sapendo di poter delegare, riduce l’attività delle aree deputate all’orientamento, trasformando il viaggio da esperienza a mero spostamento.

La necessità di allenare l’autocontrollo digitale

L’eccessiva dipendenza digitale si scontra anche con la psicologia dell’autocontrollo. Articoli che trattano del Test del Marshmallow dimostrano che la capacità di gratificazione differita – resistere a una ricompensa immediata per ottenerne una maggiore in futuro – è fondamentale per il successo e il benessere. Nell’ambiente digitale, invece, siamo costantemente bombardati da ricompense immediate (notifiche, scroll infiniti) che ci abituano all’impulsività e minano la nostra attenzione.

L’unica difesa è la consapevolezza e l’allenamento: prima di tutto, dovremmo imparare a resistere alle tentazioni digitali, concentrandoci su altre attività piacevoli. Ma soprattutto, bisognerebbe imparare a resistere all’imperativo di “riempire tutto”, e riscoprire la noia come atto politico e fonte di libertà, che ci obbliga a vedere e ad ascoltare meglio.

Consapevolezza e futuro digitale

La soluzione non è demonizzare la tecnologia, ma esigerne una più etica e usarla in modo intelligente e responsabile. Se da un lato è fondamentale proteggere i “bambini digitali” dalle insidie e dalla normalizzazione della sorveglianza, dall’altro l’adulto deve esercitare quotidianamente il pensiero critico.

Se non ci alleniamo, la nostra libertà digitale sarà limitata dalla dipendenza e dalla mancanza di consapevolezza. La tecnologia è uno strumento potente, ma la sua sicurezza e il suo impatto sulla nostra psiche dipendono in ultima analisi dall’utente che la utilizza.

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In copertina: immagine generata con l’IA.