Negli ultimi mesi, il web è stato travolto da un fenomeno curioso e al tempo stesso inquietante: la cosiddetta ghiblizzazione. Milioni di persone hanno trasformato i loro selfie o foto personali nello stile degli iconici film dello Studio Ghibli, grazie a strumenti di intelligenza artificiale generativa. Un gioco digitale diventato virale, ma che solleva interrogativi seri su privacy, diritto d’autore e valore del lavoro artistico.
Privacy: che fine fanno le nostre foto?
Quando si carica un’immagine su un servizio di IA generativa, raramente si ha consapevolezza di cosa accada dopo. Alcune piattaforme memorizzano le foto, le usano per allenare ulteriori modelli o le condividono con terzi.
Il risultato? Ogni selfie “ghiblizzato” può potenzialmente diventare un dato permanente in server esterni, senza che l’utente abbia alcun controllo futuro. In un’era dominata dai big data, la leggerezza con cui si condividono immagini personali può trasformarsi in un rischio concreto per la privacy digitale.
Diritto d’autore: tra creatività e sfruttamento
La ghiblizzazione non riguarda solo le foto degli utenti, ma anche lo stile degli artisti. Il tratto distintivo di Hayao Miyazaki e dello Studio Ghibli è protetto da copyright, ma le IA generative lo riproducono senza alcuna autorizzazione. Questo solleva due problemi principali:
- Distruzione del diritto d’autore: l’IA può generare immagini simili a opere protette senza pagare diritti o riconoscere il lavoro originale
- Svalutazione del lavoro artistico: migliaia di immagini generate in pochi minuti rischiano di ridurre il valore percepito del lavoro umano, che richiede tempo (spesso, anni e anni), competenza e creatività originale.
In altre parole, mentre l’utente ottiene una “ghiblizzazione” gratuita, l’artista vede il proprio stile replicato in massa, senza riconoscimento né compenso.
Fenomeno di massa e cultura digitale
La ghiblizzazione è diventata virale perché è semplice, divertente e socialmente condivisibile. Ma la viralità amplifica gli effetti collaterali: migliaia di immagini circolano ogni giorno, saturando i social e creando un consumo di contenuti rapidi che poco spazio lascia alla riflessione sul valore del lavoro umano.
Inoltre, la riproduzione di stili artistici senza consenso rischia di creare una “diluizione culturale”, dove l’identità unica di un artista o di uno studio viene trasformata in un mero filtro digitale.
Il ruolo dell’essere umano nell’era dell’IA
La ghiblizzazione è emblematico di una sfida più ampia: in un mondo dominato da IA, big data e algoritmi, il ruolo creativo umano è messo alla prova. La tecnologia può amplificare le capacità, ma senza consapevolezza dei rischi, può anche banalizzare il lavoro artistico e… la nostra umanità.
L’educazione digitale, la consapevolezza dei diritti e la cultura della privacy diventano strumenti fondamentali per navigare in un ecosistema in cui la linea tra divertimento, sfruttamento e abuso è molto sottile.
La ghiblizzazione è più di una moda: è uno specchio della nostra epoca digitale, che mette in luce contrasti tra innovazione tecnologica, diritto, privacy e valore dell’arte. Riflettere su questi temi non significa fermare la creatività, ma imparare a usarla con consapevolezza, difendere la proprietà intellettuale e riconoscere il lavoro degli esseri umani che stanno dietro a ogni opera.
E magari, per cercare di toccare la questione più da vicino, si potrebbe fare una bella serata film per rinfrescare capolavori come “La città incantata” (che ha vinto pure un Oscar, nel 2003) oppure “Il castello errante di Howl”… e magari, troveremo da soli la nostra risposta.
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Il mondo di oggi richiede un continuo esercizio di consapevolezza. Nel podcast “Box Security“, con Roberto Turturro, cerchiamo di affrontare insieme – nella pratica – le sfide che ci troviamo a dover fronteggiare oggi, tra progresso tecnologico e dell’informatica, IA e big data.
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In copertina: foto di George N – CC BY 2.0 (Flickr)