Quando si parla di mafia, l’immaginario collettivo spesso torna alle immagini cruente degli anni ’80 e ’90: stragi, omicidi eccellenti, la violenza spietata di Cosa Nostra. Oggi però, la mafia si è trasformata. Niente più Kalashnikov in pieno giorno, ma giacca e cravatta, società di copertura, investimenti immobiliari, appalti pubblici. La nuova mafia fa affari, in silenzio. E proprio questo silenzio è il suo alleato più pericoloso.
Le organizzazioni mafiose sono ancora presenti, ma operano sotto traccia, infiltrandosi nel tessuto economico e sociale. Hanno imparato a mimetizzarsi, a confondersi con l’economia legale. Questa trasformazione rende più difficile riconoscerle, e quindi combatterle. Ma rende anche più urgente una risposta culturale forte, soprattutto da parte delle nuove generazioni.
Perché i giovani sono centrali
Oggi, la sfida contro la mafia non si combatte solo nelle aule di tribunale, ma anche nelle scuole, sui social, nei bar, nei gruppi WhatsApp. I giovani sono il bersaglio preferito delle mafie: perché rappresentano il futuro, ma anche perché spesso sono più vulnerabili, meno informati, in cerca di identità e sicurezza. E allora la criminalità organizzata offre ciò che manca: denaro facile, appartenenza, “rispetto”.
Ma i giovani possono – e devono – essere anche la più grande risorsa nella lotta alla mafia. Sono loro a poter cambiare la narrazione, a costruire un’etica diversa, a dire di no, ogni giorno, a piccoli compromessi, scorciatoie e silenzi.
Il ruolo della scuola
La scuola ha un ruolo cruciale. Non solo come luogo di trasmissione del sapere, ma come spazio di consapevolezza. Parlare di mafia in classe, raccontare le storie di chi ha detto no, leggere le lettere di Falcone e Borsellino, ma anche analizzare le forme moderne di criminalità economica, sono strumenti fondamentali.
Educare alla legalità non significa solo parlare di leggi, ma insegnare a riconoscere l’ingiustizia, il ricatto, il privilegio immotivato. Significa educare alla responsabilità, all’empatia, alla capacità critica.
I media e il racconto della mafia
Anche i media hanno una responsabilità enorme. Troppo spesso raccontano la mafia in modo spettacolare o folkloristico, alimentando miti distorti. Invece, servono narrazioni autentiche, capaci di mostrare la complessità del fenomeno mafioso, senza glorificarlo.
Podcast, documentari, serie TV possono diventare strumenti di sensibilizzazione, soprattutto se parlano ai giovani con un linguaggio diretto, empatico, contemporaneo. Raccontare la realtà è un atto politico, e ogni contenuto può fare la differenza.
Le scelte quotidiane contano
La mafia si alimenta anche delle piccole illegalità quotidiane: l’evasione fiscale, il lavoro nero, il voto di scambio, l’indifferenza. Ogni scelta etica, ogni gesto di coerenza, è una presa di posizione. Denunciare un sopruso, scegliere prodotti da aziende trasparenti, sostenere chi si oppone alla criminalità: sono tutti modi di fare antimafia.
I giovani, con la loro creatività e sensibilità, hanno un potere enorme. Basta pensare a chi ha fondato start-up contro il caporalato, chi ha creato app per denunciare racket o chi ha trasformato terreni confiscati in spazi di comunità.
Una battaglia culturale da vincere insieme
La lotta alla mafia non è solo affare di magistrati e forze dell’ordine. È una battaglia culturale, che riguarda tutti noi. E in questa battaglia, i giovani sono in prima linea. Per vincerla, serve coraggio, informazione, partecipazione. Serve ascoltare, capire, raccontare. Serve ricordare che, come diceva Paolo Borsellino, “la mafia verrà sconfitta da un esercito di maestri”.
Ascolta il nostro podcast
Se questo tema ti interessa, allora puoi ascoltare: “Con passione e fermezza“, il podcast realizzato dagli studenti dell’Istituto Comprensivo “Enrico Fermi” di Matera, in collaborazione con Streamiotica.
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In copertina: immagine generata con IA