Il 25 aprile è la Festa della Liberazione, un giorno che ricorda la fine dell’occupazione nazista e del regime fascista in Italia. Ma è anche un’occasione per riflettere sul valore della resistenza civile, dell’impegno politico e del coraggio di chi ha scelto di lottare per la libertà e i diritti umani.

Oltre ai nomi più noti, esistono figure che hanno inciso profondamente nella nostra storia, ma che oggi rischiano l’oblio. In questo articolo vogliamo restituire voce e memoria a tre “resistenti dimenticati”: Giovanni Pesce, Lidia Menapace e Giuseppe Dossetti. Le loro vite sono testimonianze vive di un’Italia che ha saputo rialzarsi e pensarsi migliore.

Giovanni Pesce – Il fuoco della lotta

Giovanni Pesce

Giovanni Pesce era un uomo d’azione, ma con una coscienza lucida. Nato nel 1918 da una famiglia proletaria emigrata in Francia, conobbe presto la fatica del lavoro e la durezza dell’ingiustizia sociale. Fu proprio questa consapevolezza che lo spinse, appena diciottenne, a unirsi alle Brigate Internazionali per combattere contro il regime fascista di Francisco Franco nella guerra civile spagnola.

Al ritorno in Italia, con l’occupazione nazista e la Repubblica di Salò, entrò nella Resistenza armata con le Brigate Garibaldi, specializzandosi in azioni di sabotaggio, attentati mirati, liberazioni di prigionieri politici. La sua attività partigiana era meticolosa, rischiosa, spesso solitaria. Ma non fu mai cieca violenza: ogni azione era preparata con attenzione, cercando di colpire il potere senza fare vittime civili.

Pesce divenne una figura chiave nella Resistenza a Milano e Torino, ma non cercò mai fama. Dopo la guerra, preferì la testimonianza alla politica: il suo libro Senza tregua è una delle più intense narrazioni della guerra partigiana. Nessuna retorica, solo verità, coraggio, responsabilità.

Fino alla fine dei suoi giorni (morì nel 2007), Giovanni Pesce partecipò a incontri nelle scuole, conferenze, eventi pubblici. Voleva che i giovani sapessero cosa significava “resistere”. Non solo combattere, ma non voltarsi dall’altra parte.

Lidia Menapace – La resistenza continua

Lidia Menapace

Se Giovanni Pesce rappresenta la Resistenza con le armi, Lidia Menapace ne incarna il volto più civile, quotidiano, persistente. Nata nel 1924, fu staffetta partigiana in Alto Adige. In un’epoca in cui alle donne era concesso ben poco, Lidia si fece strada con determinazione, intelligenza e passione.

Dopo la guerra, divenne docente universitaria, attivista, e nel 1964 fu la prima donna eletta nel consiglio provinciale di Bolzano. Ma la sua carriera istituzionale non fu mai fine a se stessa: Lidia fu una femminista radicale, una pacifista instancabile, una voce libera. Partecipò a movimenti di base, campagne per il disarmo, battaglie per la parità di genere e per i diritti civili.

Scrisse, parlò, viaggiò, discuté, fino a tarda età. Fu eletta senatrice nel 2006, ma non smise mai di essere, prima di tutto, una partigiana del pensiero. Scomoda, a volte provocatoria, sempre coerente. Il suo motto, “la Resistenza non è finita”, non era uno slogan, ma una filosofia di vita.

Morì nel 2020, lasciando un’eredità viva e attuale. Perché resistere non è solo opporsi, ma costruire alternative. E Lidia le ha costruite, pezzo dopo pezzo, con la forza della parola e della pratica quotidiana.

Giuseppe Dossetti – L’anima della Costituzione

Giuseppe Dossetti rappresenta una delle figure più profonde e complesse della storia repubblicana. Nato nel 1913, fu giurista, partigiano, politico, sacerdote. Durante la guerra, aderì alla Resistenza in modo discreto ma fermo, partecipando alla formazione di un pensiero cristiano antifascista.

Giuseppe Dossetti

Nel dopoguerra entrò nell’Assemblea Costituente, dove diede un contributo essenziale alla scrittura della Costituzione italiana. Le sue impronte si trovano nei principi fondamentali: la dignità umana, l’eguaglianza, la solidarietà, la pace. Dossetti concepì la Costituzione come un patto etico, non solo giuridico, e lottò perché riflettesse una visione alta dell’uomo e della società.

Eppure, a differenza di molti suoi colleghi, scelse presto di ritirarsi dalla politica. Si fece sacerdote, fondò una comunità monastica, e visse in silenzio, dedicandosi allo studio e alla preghiera. Ma non fu mai assente. Ogni volta che sentì la democrazia in pericolo, tornò a parlare. Memorabile fu il suo intervento nel 1994, quando difese con forza la Costituzione dagli attacchi di chi voleva svuotarla di significato.

Dossetti è il simbolo di una resistenza morale, profonda, riflessiva. Una resistenza che non si consuma nelle piazze, ma che si costruisce nel rigore quotidiano, nell’etica delle scelte, nella fedeltà ai valori fondamentali.

Tre volti, un solo messaggio

Queste tre figure – Giovanni Pesce, Lidia Menapace e Giuseppe Dossetti – ci mostrano che la Resistenza non è un capitolo chiuso, ma una pagina che continua a scriversi. Ognuno di loro ha incarnato un modo diverso di lottare: chi con le armi, chi con le parole, chi con la legge. Ma tutti hanno scelto, quando era più facile tacere. Tutti hanno costruito, quando era più facile distruggere.

In un’epoca in cui i diritti sembrano scontati, e la democrazia fragile, ricordare queste storie è un dovere. Non per nostalgia, ma per futuro. Perché ogni generazione deve imparare a resistere a modo suo.

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