Giovanni Falcone nasce a Palermo, il 18 maggio 1939, in una famiglia borghese. Il padre, direttore del laboratorio chimico della dogana. La madre, insegnante.
Inizia gli studi col liceo classico “Umberto I”, per poi laurearsi in Giurisprudenza all’Università di Palermo nel 1961. Dopo qualche anno come avvocato, entra in magistratura nel 1964. I suoi primi incarichi lo portano a Trapani e Lentini, ma nel 1978 torna a Palermo, dove si troverà a fronteggiare la mafia nel periodo più oscuro e violento della sua storia.
Nel 1980, dopo l’assassinio del giudice Gaetano Costa, Falcone viene inserito nel pool antimafia voluto da Rocco Chinnici e poi coordinato da Antonino Caponnetto. Insieme a colleghi come Paolo Borsellino, Falcone lavora in un sistema assolutamente innovativo: indagini condivise, collaborazione stretta e informazioni centralizzate, per proteggersi ed essere al tempo stesso più efficaci.

Ben presto, Falcone ha un’intuizione che cambia tutto: la mafia non è un insieme disorganizzato di criminali, ma una struttura complessa, piramidale e affarista. Capisce che per combatterla non basta arrestare i “piccoli”, ma è necessario colpire al cuore dell’organizzazione: i suoi vertici e soprattutto il patrimonio economico.
Si inaugura così un nuovo metodo investigativo: si iniziano a seguire i flussi di denaro, si studiano i conti, i movimenti bancari, le transazioni sospette. Ci si avvale avvale delle dichiarazioni dei primi pentiti, come Tommaso Buscetta, che gli forniscono una mappa interna di Cosa Nostra, una delle più potenti e strutturate organizzazioni mafiose, nata in Sicilia e oggi diffusa in tutto il mondo.

Giovanni Falcone nel 1992.

Falcone lavora instancabilmente, giorno dopo giorno, cercando di perseguire nel suo obiettivo di giustizia. Il risultato più clamoroso arriva con il Maxiprocesso di Palermo, degli anni 1986-1987, che vede coinvolti 475 imputati, e che produce decine di condanne, tra cui 19 ergastoli. Quel processo è la prima, vera dimostrazione di forza dello Stato nei confronti di questo problema così radicato: per la prima volta, infatti, si riesce a colpire l’intera cupola mafiosa in modo diretto e organizzato.

Tuttavia, come spesso accade, le personalità molto forti e determinate possono generare attriti, soprattutto quando sono coinvolti argomenti così delicati e scomodi. All’interno delle istituzioni, infatti, inizia a subire ostilità, invidie e isolamento. Dopo essere stato osteggiato a Palermo, accetta nel 1991 un incarico a Roma come direttore generale degli Affari Penali al Ministero della Giustizia. Da lì lavora per creare una struttura nazionale antimafia, che sarà poi realizzata dopo la sua morte.

Il 23 maggio 1992, Falcone viene assassinato da Cosa Nostra in un attentato dinamitardo sull’autostrada A29, nei pressi di Capaci. Sta rientrando a Palermo con la moglie, Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e la scorta. Con loro muoiono Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Pochi mesi dopo, seguirà in questa scia di sangue anche l’assassinio di Paolo Borsellino.
Giovanni Falcone è ancora oggi un simbolo di integrità, coraggio e intelligenza istituzionale. Ha dimostrato che la mafia si può combattere con gli strumenti della legge, ma serve una strategia, una visione, e soprattutto una rete di persone oneste. Le sue parole restano scolpite nella memoria collettiva:

“La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine.” – Giovanni Falcone.

Falcone ci ha insegnato che il cambiamento è possibile, ma non arriva da solo. Arriva con il sacrificio, con lo studio, con la forza del gruppo. È un esempio per le nuove generazioni, per chi crede nella giustizia anche quando sembra lontana, per chi ha il coraggio di non voltarsi dall’altra parte.

In copertina: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (foto di Giuseppe Nigro).