Viviamo in un’epoca in cui la crisi climatica è ovunque: nei telegiornali, sui social, nei nostri feed quotidiani. Eppure, mentre ci rimproveriamo per non aver separato bene la plastica, pochi di noi provano lo stesso senso di colpa prenotando un volo low cost per il weekend. Cosa c’è dietro questa apparente incoerenza? Una risposta possibile si chiama dissonanza cognitiva.
La dissonanza cognitiva nel comportamento ecologico
La dissonanza cognitiva è un concetto psicologico che descrive il disagio mentale provocato dal mantenere simultaneamente due convinzioni o comportamenti contraddittori. Quando ci sentiamo ambientalisti, ma poi agiamo in modi che danneggiano l’ambiente, il nostro cervello cerca di “sistemare” il conflitto. Come? Sminuendo l’impatto dell’azione, razionalizzandola (“eh ma il volo era in offerta!”) o spostando l’attenzione su gesti più facilmente gestibili, come la raccolta differenziata.
Riciclare è concreto, tangibile, quotidiano. Volare low cost, invece, è percepito come un’eccezione, un lusso che “ci meritiamo”. È più facile agire su comportamenti che possiamo controllare in modo immediato. E così, mentre ci accaniamo su una bottiglietta nel bidone sbagliato, evitiamo di interrogarci su pratiche ben più impattanti.
Il mito dell’azione individuale
Negli ultimi decenni, il discorso ambientale ha spesso spinto sull’azione individuale: spegni la luce, ricicla, usa meno plastica. Messaggi importanti, ma che rischiano di diventare una distrazione rispetto alle responsabilità sistemiche.
Secondo uno studio del 2017 pubblicato su Environmental Research Letters, un singolo volo transatlantico produce più CO₂ di un anno intero di lavaggi a freddo, riciclo e uso di lampadine a basso consumo messi insieme. Ma nessuna campagna pubblicitaria ce lo ricorda ogni giorno.
Questo non significa che le azioni individuali siano inutili. Ma l’iperfocalizzazione sul micro rischia di sollevare aziende e governi dalle loro responsabilità. È più semplice dire al cittadino “usa la borraccia” che affrontare i colossi dei combustibili fossili.
La responsabilità collettiva è scomoda
Affrontare la realtà delle emissioni globali significa guardare in faccia un sistema economico costruito su pratiche insostenibili. Ed è un pensiero scomodo, che richiede soluzioni complesse, tempo, fatica, e soprattutto cambiamenti strutturali.
Il senso di colpa legato al non riciclare è una forma di “controllo emotivo” che ci dà l’illusione di partecipare. Ma la vera svolta sta nel riconoscere i limiti dell’azione individuale e nel pretendere politiche pubbliche ambiziose, trasporti sostenibili, energia pulita accessibile, aziende trasparenti e responsabili.
Un invito a pensare in modo più complesso
Questo non è un invito al disimpegno, né una giustificazione per l’inazione. Anzi. È un appello a superare la narrazione binaria del “buono vs. cattivo”, del “se riciclo sono a posto”, per abbracciare una visione più critica e sistemica.
Agiamo dove possiamo, certo: riciclare, ridurre, riusare. Ma impariamo anche a chiederci perché ci sentiamo in colpa per certe cose e non per altre. E usiamo queste domande per spingere conversazioni più profonde, più scomode, ma anche più utili.
Forse non smetteremo di volare domani, né riusciremo a cambiare il sistema da soli. Ma possiamo cambiare prospettiva: non limitandoci a contare le bottiglie riciclate, ma iniziando a pesare le vere responsabilità ambientali. Perché un cambiamento reale parte dalla consapevolezza. Anche – e soprattutto – quando è scomoda.
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